Arriverà il momento in cui, con un battito di palpebra, scatteremo foto che non andranno neanche più inviate, condivideremo immagini e informazioni per via telepatica. Chi ha dei tic sarà favorito, ma in linea di massima gareggeremo universalmente sullo stesso piano, focale. Forse avremo dei chip in testa, come l’Eternauta, se lo ricordate.
Io lo vedo così il futuro, milioni di stimoli, immagini, viaggi, sensazioni, temperature senza uscire di casa. Apri il frigo per prendere una banana e dall’altra parte un primate te la scippa, guardi un video di Lady gaga lei si sente male e corre al tuo bagno per dare di stomaco. Bisogna pensare bene a cosa potrà comportare il progresso, non saremo più liberi di fare nulla, sarà tutto “condiviso”, una noia mortale.
Non manca molto, temo. Detto ciò, ma si può sapere perché mai così tanto interesse di grandi fotografi nei confronti del banco ottico che pesa una tonnellata? E questo ritorno delle lastre su vetro con gelatine che se si seccano non le puoi più usare e giri con il grembiulone e gli stivali neanche lavorassi sulle tonnare? Possibile che per scambiarci il contatto del laboratorio che ti ripara ancora le Rolleiflex bisogna essere massonici?
Io un sospetto ce l’ho: è una sfida, un po’ snob si certo e mi piace un sacco. Sembrano dirci: caro digitale che sei alla portata bene o male di tutti, ti trovo noioso, troppo disponibile, sei facile. Sai che faccio? Il raffinato, esco coi miei simili, ho bisogno di classe.
A Londra 2012 ho conosciuto il leggendario David Burnett, il signore nella foto: asciugamano al collo come un pugile, occhialini alla Lennon, capelli esplosi. Ha preso posto in postazione, treppiedi e Crown Graphic 4×5, tra le ostilità di volontari e incredulità di noi colleghi a confrontarci per la prova di Bolt imminente con tele, iso e remotate. Ti arriva lui, gli addetti lo bloccano: Sir non si può!! (a noi fotografi è concesso avere un mono piede come ai pirati, le tv possono avere più arti). Non si è scomposto, ha fatto spalluccia e detto “no no”. Gli ho mandato le foto, le ha usate in alcune conferenze e mi ha ringraziata, ora siamo inseparabili.
http://www.davidburnett.com/
Un altro collega è lo slovacco Borut Peterlin. Guardate il suo sito, la foto del tipo che si fa un autoscatto prima di suicidarsi sotto il treno la trovo notevole. Eppure lui, preparato al famoso istituto di Londra, visionario, creativo cosa fa? Ristabilisce l’ordine partendo dal caos iniziale: i ritratti in wet plate al collodio, il sistema messo a punto a metà dell’800 da Frederick Scott Archer. Borut ed io siamo amici d’infanzia.
http://www.borutpeterlin.com/
Inifne, sono buona, vi svelo quello che ho appreso alla riunione della loggia fotografica questa notte: le Rolleiflex le ripara ACS Fototechnik, una società risorta dalle ceneri di Franke & Heidecke, anche se in scala ridotta.
L’altro è Fleenor Harry, 45 anni alle spalle presso i centri di riparazione Rolleis negli Stati Uniti. Quando l’azienda ha cessato l’attività, si è comprato tutta l’attrezzatura di prova d’America e ha aperto un negozio a Manhattan Beach. Ha talmente tanto lavoro che fino a Natale non accetta riparazioni. Se riuscite a conoscerlo, mettete una parola buona per me.
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