Qualcuno circa un secolo fa cambiò il mondo. Divenne un’icona in vita, un caso rarissimo. Un modello così potente che venne registrato il marchio “Albert Einstein“.
Molti artisti e scienziati è a lui che si ispirano quando adottano un look eccentrico, abiti clowneschi, capelli bianchi lunghi e incolti: al fisico più importante e incantevole di tutti i tempi, il volto più conosciuto al mondo.
Sorriso bonario, occhi dolci e lingua oltraggiosa copiata dai Rolling Stones. Devo sforzarmi per capire come potessero i contemporanei confrontarsi con quella che possiamo definire una delle menti più eccelse di tutti i tempi: fisico, matematico, pensatore, filosofo, allegro.
Come fotografa, invece, rifletto su come potrei accogliere una telefonata, quella che mi comunica che il nobel, la celebrità mondiale amata da tutti è deceduta, il suo corpo per espressa volontà è già a disposizione della scienza.
“Mi chiamo Ralph Morse, ho 38 anni, sono nato nel Bronx e conosco la povertà. Lavoro da un po’ al Time, sono stato l’inviato più giovane alla II GM, nel Pacifico, sono abituato ai corpi lacerati, ma qui non c’è nulla se non la leggenda che aleggia, un uomo il cui corpo è ora oggetto di morbosità scientifica. Col tempo saprò che il suo cervello giacerà per 30 anni in un barattolo a casa di chi lo sta sezionando.
Sono Ralph Morse, la Nasa presto mi affiderà tutti i servizi su Apollo e i primi astronauti. Di me diranno: “se la vita si fosse potuta permettere solo un fotografo, questo sarebbe stato Ralph Morse”, ho guidato per 90 miglia e quando sono arrivato all’ospedale di Princeton i colleghi erano già tutti lì. Sono corso via, mi son fermato a comprare una cassa di scotch. Nessuno parla volentieri a bocca asciutta, a tutti si scioglie la lingua con un po’ di aiuto e il custode ama l’alcohol, mi ha aperto lo studio. Ho fatto qualche foto in silenzio alle ultime carte, c’era la sua pipa, sulla lavagna qualche scritta e mi sono avvicinato.
Ora esco e torno in ospedale, ci sono le pompe funebri caricano una cassa umile. Non la seguo, si accorgono di me, me ne vado direttamente al cimitero della città. Vago tra le fosse appena fatte, sono decine. Alcuni ragazzi scavano e gli offro una bottiglia. Mi dicono che LUI lo stanno cremando a 20 minuti di strada, a Trenton. Arrivo, sono il solo estraneo, nessuno mi ferma, sono invisibile.
Sono Ralph Morse, sono sicuro, sto facendo lo scoop che cambierà la mia vita ed è primavera, il cielo è coperto ma esce una luce vivida, brillante. Sto inseguendo l’intelligenza ammirata da tutti che in quella bara manca, c’è solo un involucro vuoto, senza memoria.
Torno in redazione, presto sarò Ralph Morse, il solo fotografo che abbia salutato l’icona. Il mio redattore capo Ed è nel corridoio, mi aspetta. Mi dice che ha parlato con il figlio di Einstein, di rispettare la privacy della famiglia, nessuna foto verrà utilizzata.
Beh, questo è quanto, mi dedico subito al prossimo incarico, dimentico tutto. Non posso aspettare questi 60 anni finché il servizio veda la luce.
Ho altro da fare, devo diventare Ralph Morse, uno dei più grandi foto reporter di tutti i tempi e voi del 2012, che per primi vedete le foto che non avrebbero cambiato la mia carriera, sapete che ci sono riuscito.”
http://life.time.com/history/the-day-einstein-died-a-life-photographers-story/?iid=lb-gal-viewagn#4
Questo blog è stato scritto alle ore 20.00 del 27/09/2012.
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