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GLI HASHTAG SU TWITTER E FACEBOOK

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, Editoria fotografica, Il mestiere del fotografo, Notizie utili dal web
Tags: #,Facebook,fotografia,hashtag,social network,twitter

L’Hashtag su Twitter è strategico, serve a potenziare la visibilità dei propri tweet attraverso una parola o una serie di caratteri preceduti dal simbolo # per categorizzare i messaggi e rendere più facile la ricerca per argomento. Bisogna considerare, tuttavia, che Twitter è una piattaforma in tempo reale e la sua funzione di ricerca va indietro solo di una settimana. Per le conversazioni (o Tweet) più datate, meglio utilizzare Topsy che archivia i messaggi condivisi sui social. Twitter è un social network aperto, chiunque può vedere i tweet pubblici a condizione di non aver impostato un account completamente privato. Gli hashtag consentono di raggiungere altri utenti con interessi comuni o per indirizzare le conversazioni sulla propria attività, nel caso si abbia un hashtag personalizzato originale (mai utilizzato in precedenza da altri) e che contenga il proprio nome aziendale (o le iniziali). Aprire un account o profilo con un nome di fantasia non aiuta, a meno che non si voglia rimanere nell’anonimato.

Twitter mette in evidenza argomenti trend, che spesso rappresentano conversazioni legate a degli hashtag. L’elenco delle ultime tendenze si trova nella home page e può essere filtrato per aree geografiche. Per diventare un argomento di tendenza e raggiungere un pubblico più ampio, è necessario twittare molto in poco tempo. Con l’utilizzo di alcuni siti, come TweetDeck o HootSuite è possibile impostare le colonne di ricerca preferite e avere il controllo continuo su temi che giudichiamo importanti (es. #photography). Lo stesso vale per monitorare gruppi o persone che intendiamo seguire senza diventare loro follower (es. aziende o colleghi in competizione con la nostra attività).

Poiché è possibile utilizzare qualsiasi hashtag si desideri su un argomento popolare, centinaia di persone potrebbero visualizzare un nostro tweet. Allo stesso tempo, molti non usano gli # correttamente inflazionando i propri tweet con tentativi insistenti quanto noiosi di visibilità. L’abuso nel tentativo di risultare in molte conversazioni non tiene conto del fatto che da molti studi di analizzatori dei social, questa pratica è risultata produrre un effetto irritante, con ripercussioni negative. Il troppo stroppia e rende poco attraente, distraendo e diventando poi il bersaglio per essere derisi.

Ma sapete come nacque l’#? Ideato e realizzato dai primi utenti di Twitter, l’hashtag non faceva parte della sua infrastruttura originale. Dopo aver conquistato Twitter nel corso degli ultimi sette anni – grazie Chris Messina che per primo ne suggerì l’utilizzo – è diventato uno strumento consueto per milioni di utenti di Facebook, senza ce ne sia motivo o utilità alcuno.

Ad oggi, è divenuto così popolare da far parte del lessico consueto. Alcuni sostengono potrebbe aver fatto il suo tempo, come il giornalista del New York Times Daniel Victor, il quale sostiene si tratti di una pratica esagerata che ha generato la nascita di un mito.

Mentre alcuni ammettono che i tag aiutino i giornalisti nella loro ricerca di notizie, altri osservano che quando si tratta di fare giornalismo con e sui social media, gli hashtag non sempre sono una risorsa utile. “Se c’è una sparatoria presso l’Empire State Building preferisco usare la ricerca avanzata di Geofeedia http://geofeedia.com/ o Twitter per trovare testimoni oculari vicino alla scena. Il che corrisponde nel cercare frasi come ‘Sto bene’ o sono al sicuro ‘o’ io c’ero ‘. Viceversa, con un hashtag generico come #EmpireStateBuilding, si trovano solo link e titoli dell’evento senza alcuna rilevanza” sostiene un collaboratore di BuzzFeed. Un numero enorme di giornalisti online confessa ambivalenza o addirittura disprezzo per gli hashtag, sottolineando di cercare di evitarli se non quando “estremamente” necessario.

Il marketing aziendale resta comunque lo zoccolo duro degli utilizzatori di hashtag su Twitter per le sponsorizzazioni. A loro, infatti, è stato data la “colpa” dell’aumento degli #. Anche in questo caso, la noia ha preso il sopravvento. È quasi impossibile per le aziende e i personaggi pubblici poter controllare le condivisioni sui social, tanto da esser diventati un elemento fallimentare che ha dato il nome al fenomeno “bashtag.”

Amy Vernon, marketing general manager di Internet Media Labs è un gran sostenitore degli hashtag, che considera come “l’atomica e uno degli elementi più importanti dei social media”pur riconoscendo loro il potenziale distruttivo dell’uranio. “Non uso mai un hashtag aziendale a meno che non mi sia richiesto dagli interessati”.

Ma torniamo all’utilizzo dell’# su Facebook.

L’idea alla base dell’inventore Chris Messina fu quello di creare un legame tra condivisioni dello stesso argomento. Su Twitter è radicato tanto da non poter immaginare la piattaforma senza ma in rete è diventato strumento di ricerca ufficiale solo nel 2010. Facebook non è e non è mai stato uno strumento di contenuti utile in tempo reale. Quando una notizia nasce e si diffonde è Twitter che si attiva grazie alla sua velocità, brevità e capacità di raggiungere chiunque nel pianeta senza che ci sia alcuna amicizia o contatto pre esistente. Facebook è stato progettato infatti per mostrare quel che Facebook stesso pensa troverete più utile, grazie alle priorità di un algoritmo. In termini tecnici, non è un real-time web. Inoltre, limita i nostri post ad una cerchia molto ristretta dei nostri amici, ancor meno quando pubblichiamo un post su una pagina che ci appartiene, a meno che non si paghi (e anche in quel caso la visibilità è limitata). Non c’è più alcun modo per visualizzare gli aggiornamenti dei propri amici in tempo reale, nemmeno impostando “più recente.” A decidere cosa vedere non siete più voi, neanche nel vostro profilo, nel quale la maggior parte dei vostri post scompaiono nascosti nei settori “inizio dell’anno” o “visualizza altri post”. Gli hashtag su FB risultano in grassetto, non come un testo normale inserito in un post. Alcuni ritengono servano solo ad aiutare gli ingegnieri di FB per capire gusti, movimenti, interessi (es. una foto con #Rome #Armani #Bag #Disco dice come vestiamo dove siamo con chi e cosa ci piace fare) in modo da riconvertirli in apparizioni commerciali sponsorizzate e annunci pubblicitari mirati. Probabilmente a niente altro, a meno che non siate così capaci da inserire # tanto attraenti quanto poco abusati. Provare a vedere quali fine facciano le nostre foto caricate su FB con gli # non costa nulla. Andate su Google / Immagini / icona della macchina fotografica, caricate la vostra immagine con l’hashtag che usate maggiormente (ad esempio #nationalgeographic), capirete quante possibilità ci siano che qualcuno, in redazione, si accorga della vostra foto.

 

16/09/2014|

#SANDY: IL PRIMO LIBRO FOTOGRAFICO DA IPHONE

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, Editoria fotografica, fotografia

Wyatt Gallery (si chiama proprio così) è “una persona, non un posto” come dichiara nel suo sito, ma soprattutto un fotografo che con un libro sta rivoluzionando l’ancora confuso mondo delle fotografie scattate con iPhone. http://www.wyattgallery.com/ 

L’uragano Sandy sdoganò di fatto l’uso delle foto da Instagram da parte di redazioni prestigiose. Il Times se ne servì per la copertina dell’inserto nazionale e nulla più sembrava ostacolarne l’avanzata mentre numerosi fotografi professionisti ripresero le devastazioni con il loro smart phone.
Wyatt li ha contattati per offrire loro la possibilità di raccogliere le immagini in un unico volume: #Sandy. Per sostenere le spese lancia una campagna di raccolta fondi e finanziare il libro che si propone, con i ricavati, di aiutare le vittime della tempesta.

Un giorno, rientrando in auto con i colleghi Ben e Ruddy, esclama: “Hey dovremmo fare una mostra di queste foto e raccogliere fondi.” Meno di tre settimane dopo, presenta 150 stampe di fotografie da iPhone alla Foley Gallery di New York City che vende a 50 $ ciascuna. A seguito del successo, gli viene suggerito: “Dovresti davvero farne un libro.” Contatta altri fotografi di fama come Richard Renaldi, Stephen Wilkes, Ed Kashi e Lyle Owerko che abbracciano con entusiasmo il progetto. Il libro prende finalmente corpo quando Sean Corcoran, curatore di stampe e fotografie presso il Museo della Città di New York, lo invita ad esporre le fotografie da iPhone nella mostra Exhibition Sandy in programma il prossimo novembre. “L’iPhone è uno strumento potente, lo portiamo sempre con noi, e consente di inviare le foto in tempo reale in modo che milioni di persone possano testimoniare la situazione immediatamente. Fotografi come Benjamin Lowy e Michael Christopher Brown sono noti per l’utilizzo dei loro iPhone come telecamera principale per la copertura foto giornalistica di guerre in Africa e in Medio Oriente. E ‘la nostra arma più potente.”

info e approfondimenti:

http://photoblog.nbcnews.com/_news/2013/08/07/19896146-sandy-the-book-a-look-at-the-superstorm-through-iphone-photos?lite

http://hashtagsandy.com/

http://www.wyattgallery.com/

http://hashtagsandy.com/ABOUT-THE-BOOK/1/

08/08/2013|

RIVOLUZIONI EDITORIALI

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, Editoria fotografica, Fotografi

“Andremo su Marte con una venusiana, due gatti e un missionario.»

Ci sono dei libri fotografici, auto gestiti/promossi/finanziati/stampati (una volta ordinati) che stanno riscuotendo moltissima fortuna. Il mio preferito è Afronauts, sta spopolando ed appartiene alla rosa dei 10 progetti fotografici più folli di tutti i tempi. Benché non ci sia un Istituto garante per le classifiche, abbiamo motivo di credere che in questo caso non ci siano contestazioni.
La copertina chiarisce le intenzioni del progetto: a Zambian Space Program by Cristina De Middel. Cristina è una fotografa di Alicante e nella sua città natia fa muovere gli afro astronauti, con tanto di costumi spaziali con camicie fiorate in evidenza, navi spaziali ricavate da giganteschi fusti di olio di scarto, location l’interno di una fabbrica in disuso nelle vesti di base di controllo della missione. Neanche Woody Allen dei tempi migliori avrebbe potuto tanto. Per capirne di più o anche solo capirne qualcosa http://thisbookistrue.wordpress.com/the-book/ Astronauts vanta la media di 1000 copie vendute al mese.

Altri due libri stanno avendo risposte importanti dal pubblico, benché siano, a differenza della potentissima idea di Cristina, cosa già viste dall’800 e che tanto piacciono ad alcuni critici. Autori, Mishka Henner e Andy Sewell. 

http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2013/apr/14/three-self-publishing-photographers

http://www.andysewell.com/the-heath/images/09-08

Ma quello che è importante di tutta la faccenda è come abbiano fatto gli autori ad organizzarsi, promuoversi e vendere, e capire cosa piaccia al pubblico. Consiglio la lettura.

http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2013/apr/14/photography-self-publishing-afronauts-space

 

14/04/2013|

I SERIAL: PAZZI CON LE IDEE CHIARE

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, Editoria fotografica, Fotografi

Il NYT dedica un servizio ad un fotografo di cui vi avevo già parlato, Howard Schtz, punto di forza di Sport Illustrated che ha vinto il premio miglior libro del 2012. Non capisco se come miglior libro al mondo, del continente o di NY, categoria “non saprei”. Mi auguro miglior libro in assoluto, sarebbe un colpo duro per la letteratura ma una bella rivalsa per la fotografia. http://www.howardschatz.com/index.php

Tornando al New York Times, la foto di apertura del servizio “Modelle e le loro madri” non è scelta a caso, non si capisce chi sia la madre e chi la figlia. Sulle altre il dubbio sfuma ma quello che è interessante del servizio è notare quel che emerge con puntualità esagerata: la serialità. Non c’è fotografo che non venga riconosciuto e il suo lavoro premiato se manca la storia, una serie, un racconto.
I lettori vogliono le storie, piace fare confronti, ragionare, gli editor pretendono le storie. Una foto singola non è un racconto, è solo una foto singola per quanto bella sia. Certo ci sono delle foto singole che hanno fatto la storia, voi avevate intenzione di entrare direttamente nella storia? In attesa potreste provare a farvi conoscere come fotografi. Questo comporta non andare in un posto esotico e fotografarlo, bensì andare, trovare una storia e raccontarla. Dovunque andiate e qualsiasi cosa fotografiate imparate a raccontare, a trovare un filo conduttore, a ripetere lo stesso esperimento con varie cavie, ad essere seriali scegliere un prototipo di vittima e scovarlo, come nei thriller, perché le foto singole non vengono più premiate neanche nei grandi concorsi.

Siate folli, siate serial.

http://www.nytimes.com/interactive/2013/02/24/magazine/look-models-mothers.html?smid=tw-share&_r=0

13/04/2013|

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