Vi racconto qualcosa dei nostri tempi. Non vi ci abituate perché da domani si riprende con la fotografia e la finiamo con le nostalgie.
Le prime gare che ricordo le vidi a Imola, la 200 miglia, roba per intenditori. C’era chi mandava i figli alle colonie estive dei preti. Mio padre era romagnolo, caricava tutti noi ragazzini in camper e si partiva in contropellegrinaggio da Roma.
Aspettavo tutto l’anno e quando si avvicinava il momento non stavo più nella pelle, avrei rivisto i miei paladini che per me erano delle star, di moto non mi interessava. Il paddock era accessibile, un campeggio di tende dove dormivano i piloti e le loro famiglie. Le mogli cucinavano e le tute erano stese al sole sui carrelli rimorchio delle moto. Di solito i piloti erano anche meccanici che avevano iniziato la loro carriera truccando dei motorini. Lucchinelli era uno di questi. Andavi da loro e ci scambiavi quattro chiacchiere, erano sempre affabili. A volte era doloroso averli conosciuti, erano tempi in cui sulle piste si moriva facilmente.
E le piastrelle, ne ho diverse a casa. Erano quelle commemorative, ci potrei rifare il bagno.
Mio fratello riuscì ad entrare nella squadra di Roberto Gallina, la allora HB Racing, tutta gialla. Si vedevano i primi motorhome e io ragazzina mi sentivo molto importante a sedere nella loro veranda. Una mascotte.
La domenica sera c’era la festa dei piloti. A Imola (mi pare) si andava in un locale chiamato La via en Rose ma io potei partecipare dopo diversi anni. Al Mugello c’era un ristorante in un casolare poco vicino il circuito, facevi il sottopasso ed eri arrivato, ti potevi sedere accanto a Lawson o Gardner. Fettuccine memorabili.
Tra una cosa e l’altra mi feci strada. Ho seguito per sedici anni il motomondiale, alternandomi come ruoli. Prima sorella/mascotte, poi organizzai le gare al Motorshow nell’allora area 43, quindi responsabile di due GP.
Ovviamente il lavoro più gradevole fu diventare la fotografa ufficiale del campionato, un’onore e uno stimolo. Ero libera di muovermi e inventarmi delle cose. Salivo sull’elicottero ogni sabato, mi venne l’idea di fare riprese dall’alto e il capo ne fu entusiasta. Poi salì sul podio, mi sembrava sciocco fare le foto dal basso come tutti. Salì anche sulla ruota panoramica del Sachsenring a inizio warm up, solo che si scordarono di me e mi feci tutta la domenica mattina ondeggiando nella cabina. In spagnolo – lingua in Dorna – si chiama noria, ma non lo sapevo e alla radio gridavo “sono sulla ruota!” In un gp non è un buon indizio per una caccia al tesoro.
Erano bei tempi, nessuno lo nasconde e chi li ha vissuti li rimpiange. Si faceva tutto insieme, stesso viaggio, hotel, vita di circuito. Io entravo e uscivo ovunque, in clinica mobile, nelle officine dei team, chiacchieravo, mi divertivo da matti. E non ero l’unica felice, c’erano i tabacchi e tanti sponsor, le squadre facevano investimenti di anni. Ai podi si stappava lo champagne e non l’acqua minerale. La mattina potevi permetterti di salire in macchine che non erano del tuo team per raggiungere il circuito. In Malesia feci la fesseria di chiedere un passaggio a Biaggi, non sapendo che quel giorno voleva stabilire il suo record personale. Lo capii entrando in auto, gli altri che lo accompagnavano si sedettero subito dietro. Una volta arrivati mi disse che nessuno gli aveva mai fatto così pena come me.
Vissi anche il periodo dei cantanti con le scuderie. Ci fu l’anno di Vasco Rossi, rispettoso del lavoro dei meccanici, chiedeva posso? do fastidio? Poi venne Ramazzotti ma lui non l’ho mai visto, c’era l’allora moglie e nessuno si lamentava. Qualche apparizione la faceva anche Anna Falchi, amica di Biaggi. Erano belle cose perché il campionato era ancora acerbo, non eravamo abituati ai vip che preferivano diventare dei meno vip dopo un paio di gare e alla fine si mangiava tutti insieme.
Valentino lo conobbi adolescente, aveva una voce stridula e dei capelli assurdi, ma guardando suo padre che portava la treccia fino ai glutei te ne facevi una ragione. Graziano dormiva in macchina, non ho mai capito perché così glielo chiesi, mi rispose che si stava benissimo nella sua station wagon, che avrei dovuto provare. Forse era un modo per rimorchiare.
Il sabato sera c’era l’aperitivo, l’organizzavano i benzinai, quelli che si occupavano delle benzine di gara. Portavano una grande forma di grana e tanto vino frizzante, mai retto l’alcol dei benzinai. Era seconda metà degli anni ’90, vivere nel motomondiale era fantastico, ci si salutava mille volte, si parlava tutte le lingue insieme. Si organizzavano delle brevi vacanze tra un gp e l’altro. C’erano anche delle risse. Una volta ci finii coinvolta in un locale a Cascais. Ma non fu colpa nostra, quando giri con piloti famosi e belle ragazze alcune anime locali si scaldano.
Nel 2000 una mia carissima collega mi disse di voler fare il tragitto da Assen fino a Donington con i camion della Dorna, non potevo farmi certo mancare un’occasione come questa. La carovana si spostava ad una lentezza estenuante, non ricordo quanto ci impiegammo, forse un anno. Ma ne valse la pena, passai tutto il gp successivo a raccontare le mie prodezze da aspirante camionista.
Mi portavo sempre i pattini e la sera facevo il giro di pista con altri che si allenavano in bicicletta o a piedi, fino a quando proprio a Donington presi il discesone unto e non mi fermai più.
A Madrid una sera con un paio di colleghe andammo in giro con i ragazzi della Deltatre, che allora facevano il cronometraggio. Ricordo solo che uno disse Sotomayor a cena, non so perché. Rientrando alle auto trovammo uno di noi spalmato a terra con l’asta del parcheggio spezzata, sussurrava ancora Sotomayor.
C’erano anche i ragazzi della cartellonistica, quelli che trasportavano i camion, montavano in 6 ore un paddock, sistemavano i cartelli in pista. Giravano sempre con dei trapani, corde, sembravano i Village People ma avevano poco tempo per cantare. Erano tutti catalani, bravissima gente della Promotor, li chiamavamo “el sindacat”. Se avevi un problema loro si facevano in quattro.
Insomma, posso dire di aver vissuto gli anni d’oro delle moto anche se è scontato. Quando lasciai si fece una gran festa con discorsi sconnessi, corteo sorretta in trono su un parafango di un’auto. Le cose regali tipiche di quei motomondiali.
Mi raccontano non si possa più entrare da nessuna parte se non hai l’accredito giusto, che dei team non si parlino tra loro. Pare non ci si diverta molto e alcuni si danno un sacco di arie.
Ma sono voci che non posso confermare, da quando ho smesso non sono più andata. Adesso preferisco la SBK, incontro vecchi amici, si parla dei malanni dell’età, dei bei tempi, ci si controlla il giro vita. Sto bene, devo solo scovare i benzinai di serie.
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