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Monthly Archives: August 2012

C’era una volta il motomondiale

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia, il meglio del blog

Vi racconto qualcosa dei nostri tempi. Non vi ci abituate perché da domani si riprende con la fotografia e la finiamo con le nostalgie.

Le prime gare che ricordo le vidi a Imola, la 200 miglia, roba per intenditori. C’era chi mandava i figli alle colonie estive dei preti. Mio padre era romagnolo, caricava tutti noi ragazzini in camper e si partiva in contropellegrinaggio da Roma.
Aspettavo tutto l’anno e quando si avvicinava il momento non stavo più nella pelle, avrei rivisto i miei paladini che per me erano delle star, di moto non mi interessava. Il paddock era accessibile, un campeggio di tende dove dormivano i piloti e le loro famiglie. Le mogli cucinavano e le tute erano stese al sole sui carrelli rimorchio delle moto. Di solito i piloti erano anche meccanici che avevano iniziato la loro carriera truccando dei motorini. Lucchinelli era uno di questi. Andavi da loro e ci scambiavi quattro chiacchiere, erano sempre affabili. A volte era doloroso averli conosciuti, erano tempi in cui sulle piste si moriva facilmente.
E le piastrelle, ne ho diverse a casa. Erano quelle commemorative, ci potrei rifare il bagno.

Mio fratello riuscì ad entrare nella squadra di Roberto Gallina, la allora HB Racing, tutta gialla. Si vedevano i primi motorhome e io ragazzina mi sentivo molto importante a sedere nella loro veranda. Una mascotte.
La domenica sera c’era la festa dei piloti. A Imola (mi pare) si andava in un locale chiamato La via en Rose ma io potei partecipare dopo diversi anni. Al Mugello c’era un ristorante in un casolare poco vicino il circuito, facevi il sottopasso ed eri arrivato, ti potevi sedere accanto a Lawson o Gardner. Fettuccine memorabili.

Tra una cosa e l’altra mi feci strada. Ho seguito per sedici anni il motomondiale, alternandomi come ruoli. Prima sorella/mascotte, poi organizzai le gare al Motorshow nell’allora area 43, quindi responsabile di due GP.
Ovviamente il lavoro più gradevole fu diventare la fotografa ufficiale del campionato, un’onore e uno stimolo. Ero libera di muovermi e inventarmi delle cose. Salivo sull’elicottero ogni sabato, mi venne l’idea di fare riprese dall’alto e il capo ne fu entusiasta. Poi salì sul podio, mi sembrava sciocco fare le foto dal basso come tutti. Salì anche sulla ruota panoramica del Sachsenring a inizio warm up, solo che si scordarono di me e mi feci tutta la domenica mattina ondeggiando nella cabina. In spagnolo – lingua in Dorna – si chiama noria, ma non lo sapevo e alla radio gridavo “sono sulla ruota!” In un gp non è un buon indizio per una caccia al tesoro.

Erano bei tempi, nessuno lo nasconde e chi li ha vissuti li rimpiange. Si faceva tutto insieme, stesso viaggio, hotel, vita di circuito. Io entravo e uscivo ovunque, in clinica mobile, nelle officine dei team, chiacchieravo, mi divertivo da matti. E non ero l’unica felice, c’erano i tabacchi e tanti sponsor, le squadre facevano investimenti di anni. Ai podi si stappava lo champagne e non l’acqua minerale. La mattina potevi permetterti di salire in macchine che non erano del tuo team per raggiungere il circuito. In Malesia feci la fesseria di chiedere un passaggio a Biaggi, non sapendo che quel giorno voleva stabilire il suo record personale. Lo capii entrando in auto, gli altri che lo accompagnavano si sedettero subito dietro. Una volta arrivati mi disse che nessuno gli aveva mai fatto così pena come me.
Vissi anche il periodo dei cantanti con le scuderie. Ci fu l’anno di Vasco Rossi, rispettoso del lavoro dei meccanici, chiedeva posso? do fastidio? Poi venne Ramazzotti ma lui non l’ho mai visto, c’era l’allora moglie e nessuno si lamentava. Qualche apparizione la faceva anche Anna Falchi, amica di Biaggi. Erano belle cose perché il campionato era ancora acerbo, non eravamo abituati ai vip che preferivano diventare dei meno vip dopo un paio di gare e alla fine si mangiava tutti insieme.

Valentino lo conobbi adolescente, aveva una voce stridula e dei capelli assurdi, ma guardando suo padre che portava la treccia fino ai glutei te ne facevi una ragione. Graziano dormiva in macchina, non ho mai capito perché così glielo chiesi, mi rispose che si stava benissimo nella sua station wagon, che avrei dovuto provare. Forse era un modo per rimorchiare.
Il sabato sera c’era l’aperitivo, l’organizzavano i benzinai, quelli che si occupavano delle benzine di gara. Portavano una grande forma di grana e tanto vino frizzante, mai retto l’alcol dei benzinai. Era seconda metà degli anni ’90, vivere nel motomondiale era fantastico, ci si salutava mille volte, si parlava tutte le lingue insieme. Si organizzavano delle brevi vacanze tra un gp e l’altro. C’erano anche delle risse. Una volta ci finii coinvolta in un locale a Cascais. Ma non fu colpa nostra, quando giri con piloti famosi e belle ragazze alcune anime locali si scaldano.

Nel 2000 una mia carissima collega mi disse di voler fare il tragitto da Assen fino a Donington con i camion della Dorna, non potevo farmi certo mancare un’occasione come questa. La carovana si spostava ad una lentezza estenuante, non ricordo quanto ci impiegammo, forse un anno. Ma ne valse la pena, passai tutto il gp successivo a raccontare le mie prodezze da aspirante camionista.
Mi portavo sempre i pattini e la sera facevo il giro di pista con altri che si allenavano in bicicletta o a piedi, fino a quando proprio a Donington presi il discesone unto e non mi fermai più.
A Madrid una sera con un paio di colleghe andammo in giro con i ragazzi della Deltatre, che allora facevano il cronometraggio. Ricordo solo che uno disse Sotomayor a cena, non so perché. Rientrando alle auto trovammo uno di noi spalmato a terra con l’asta del parcheggio spezzata, sussurrava ancora Sotomayor.
C’erano anche i ragazzi della cartellonistica, quelli che trasportavano i camion, montavano in 6 ore un paddock, sistemavano i cartelli in pista.  Giravano sempre con dei trapani, corde, sembravano i Village People ma avevano poco tempo per cantare. Erano tutti catalani, bravissima gente della Promotor, li chiamavamo “el sindacat”. Se avevi un problema loro si facevano in quattro.

Insomma, posso dire di aver vissuto gli anni d’oro delle moto anche se è scontato. Quando lasciai si fece una gran festa con discorsi sconnessi, corteo sorretta in trono su un parafango di un’auto. Le cose regali tipiche di quei motomondiali.

Mi raccontano non si possa più entrare da nessuna parte se non hai l’accredito giusto, che dei team non si parlino tra loro. Pare non ci si diverta molto e alcuni si danno un sacco di arie.

Ma sono voci che non posso confermare, da quando ho smesso non sono più andata. Adesso preferisco la SBK, incontro vecchi amici, si parla dei malanni dell’età, dei bei tempi, ci si controlla il giro vita. Sto bene, devo solo scovare i benzinai di serie.

31/08/2012|

My OlymPics

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia, london 2012, video

My OlymPics from Vanda Biffani on Vimeo.

31/08/2012|

Le foto che ci appartengono

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, il meglio del blog

Quante immagini vediamo al giorno? Se consideriamo anche quelle che ci passano sotto gli occhi nei social network decisamente troppe, di molte potremmo fare volentieri a meno. Forse bisognerebbe inventare l’inquinamento visivo, chiedere un risarcimento a chi ci bombarda la cornea, staccarci periodicamente da tutta questa continua saturazione e riposarci. Le immagini belle, quelle importanti, come tutte le cose essenziali sono poche, andrebbero difese dagli attacchi.

Un anno fa andai in Kenya per due volte consecutive. Non ero mai stata in quella zona geografica ma ricordavo i racconti di mia madre, che soffriva il male del nulla d’Africa, come lo chiamava lei. Diceva di sentirne la mancanza. Ci era stata a fine anni ’60, periodo in cui la zona dove vivevamo era il trionfo della noia. Cosa ci fosse di tanto speciale in Kenya lo vidi subito. Il suo Nulla. Ti toglie il fiato, ti senti rinato, ti guardi intorno e tutto è equilibrio. Come la bellezza del deserto, una ripetizione infinita di dune e distese che potresti osservare per ore. O il mare d’inverno, il fuoco che scoppietta. Scenari così immensi da essere fuori dalla portata umana, alleggerendo gli animi dagli affanni. La natura fa il suo mestiere, non siamo il centro dell’universo, ci possiamo rilassare.
Credo che la vera fotografia sia la stessa cosa, essenza e spiritualità raccolte in un’unica visione.

Ho curiosato in rete, ho cercato “le foto più importanti di tutti i tempi” ma non ho trovato quelle che maggiormente amo. Perché ognuno ha le proprie foto del cuore ed è difficile stilare classifiche.
Io ne ho due in particolare: una è di Robert Doisneau, un bimbo di altri tempi scruta il soffitto dal banco di scuola, vorrei poterla aver fatta io. Mi ricorda l’infanzia, gli stratagemmi per non essere interrogati, la timidezza, la concentrazione palesemente manifesta che è tipica dell’età, la furbizia, l’imbarazzo. Non c’è nulla, solo lo sguardo del bambino che dice tutto.
L’altra foto importante mi è apparsa da poco e ci penso spesso perché è una storia crudele, di quelle dove muoiono tutti. Muore la persona ritratta, ne muore di dolore l’autore.

Kevin Carter vinse un Pulitzer nel 1994 realizzandola in Sudan, raffigura una bimba denutrita rannicchiata, un avvoltoio poco distante attende il suo declino per divorarla. Carter si suicidò quello stesso anno con i gas di scarico del suo pickup, lasciando scritto di essere depresso e di non poter più vivere pensando a tutte le stragi viste e fotografate.
Questa foto non ha nulla ed ha tutto. Riassume i grandi temi, la morte, la sopraffazione, l’infanzia abbandonata a se stessa, è terrificante. Il fotografo attese sconvolto per quasi venti minuti che l’avvoltoio aprisse le ali, sapeva di non poter salvare la vita alla bambina, era troppo malata, ma la sua immagine poteva scuotere molte coscienze. La sua ne rimase completamente prigioniera.

Ovviamente ho anche altre foto del cuore più allegre, quelle che quando guardo mi srotolano tutta una serie di emozioni e gioie. Sono foto di miei ricordi, hanno valore solo per me.

Difficile fare statistiche, ci sono migliaia di foto famose che appartengono al nostro immaginario. Racchiudono momenti epocali, collettivi o personali. Ognuno custodisce mentalmente il proprio archivio.
E la vostra, qual è?

 

 

29/08/2012|

My OlymPics, il video

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia, london 2012, video

Ci siamo, il foto racconto di Londra 2012, con molte delle scene che vi descrivevo alla radio (Radio Capital) è nato questa notte, pesa 201 kb è lungo 2,32 min e sta bene.
Vi invito a dargli il benvenuto, dateci soddisfazione è bello ma le doglie sono state lunghe, io sono sul letto stremata e tra un po’ iniziano le poppate.

Ci sono un sacco di chicche. Va visto due volte altrimenti vi sfuggono, è la regola oppure non se ne fa nulla. Vale per tutti.
Alcune ve le suggerisco, vediamo chi vince. Buona visione

Chiccometro
Ci sono due personaggi famosi, uno è considerato tra i più grandi atleti di tutti i tempi, l’altro lavora tra gli sportivi è inglese ricchissimo e si è risposato ieri, camminano tra il pubblico, trovateli
Ci siamo anche io e il mio piede e non solo come ombra (ma questa non è proprio proprio una chicca è che volevo apparire tra gli interpreti  in questo chiccometro di coda subito dopo le star)
Le scene sono state associate, vediamo se ne capite almeno un paio
Quanti sono i tuffatori che si alternano nel cerchio?
Cosa fanno le bambine al semaforo dopo l’esercizio con 5 palle della ginnastica?
La canzone non a caso dice “You don’t know what it means to win” mentre Bolt fa quale gesto? e “Made me see where I’ve been” mentre il lottatore…?
Il momento scelto della coreografia nello stadio riporta quale parola illuminata?
Con i tifosi di quale nazione si conclude il video? e perché proprio con loro?
Anche il nome del video è una chicca

In ultimo, La stazione della metropolitana è Russell Square, quella dell’attentato, per questo l’ho inserita e ho messo le scale, è molto profonda

28/08/2012|

La ricalibratura dell’orologio bio-tecno-logico

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia

 

In questi giorni, tanto per non farmi mancare nulla, sto completando un progetto ambizioso: fare un video, la trama la lascio top secret (creare suspense è un trucchetto per fare botteghino, me l’ha suggerito Lucas).

Io non so fare, ho messo tutto nelle mani di un esperto – Emanuele Bastoni – che ha quel che a me manca, la logica matematica delle foto sequenze, l’assenza di visione egocentrica, i ritmi, i tagli, gli stacchi e un sacco di altre belle qualità ma soprattutto ha una cosa: è giovane.

Io lo sapevo che ero più “grande”, speravo solo che lui non se ne fosse accorto. Ma ecco che ieri sera mentre parlavamo amabilmente dell’ottima scelta della musica (merito di mia sorella) mi mostrano un aggeggietto per fare le riprese video. Mi sono tradita, ho detto istintivamente:
“Quanto costa questa cinepresa?“
“Cinepresa? (risatine…) Cinepresa (altre risatine…) è antico!“
In effetti cinepresa forse non si usa più da quando andavo a vedere i film nella sala parrocchiale.

Affidarsi ad un collega è un esercizio di umiltà che seppur doloroso bisognerebbe praticare spesso. Compiere questo gesto di profonda modestia con uno molto più giovane e con la mente scoppiettante è oltremodo deprimente. Bisogna ricalibrarsi,  lasciar fluire altri meccanismi completamente nuovi in testa, farei prima ad entrare io in loro.
Piacevole? Scopri tecnologie, mondi ma anche la tua goffagine; per metterti in linea dovrai impegnarti mentre ai giovani viene spontaneo. Non sudano. Angoscia e diletto: precipiti nella sfera dell’illuminismo libertino del Marchese de Sade, più soffri più inizia a piacerti.
Ma ormai è deciso, imparerò ad usare i programmi di realizzazione video, non dirò mai più parole antiche e cercherò di vedere le immagini in modo sempre nuovo.

Tempo fa, temendo che prima o poi il momento che avrei pronunciato cinepresa sarebbe arrivato mi confidai con un amico. Mi guardò sereno: “Vanda tranquilla, tu non stai invecchiando. Sei già vecchia.”

siti giovani: www.emanuelebastoni.com

26/08/2012|

Angeli della luce versus Rettilandia (II e ultima parte)

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia

 

Dite la verità: avete il cenone di Natale, stavolta dovete partecipare con qualcuno, da chi vi fate accompagnare? Da un cherubino tutto pettinato che con le sue grandi ali non sai come farlo sedere ma, anche se è un po’ noioso, fa il suo figurone? Oppure chiedete all’amico invertebrato simpatico, sempre nei guai, con la barba di 4 giorni, le occhiaie e il gilet sudicio, che intrattiene vostra nonna spiegandole la teoria del caos?

Gli Angeli della luce hanno il loro perché, sempre. Sono rassicuranti, gli affideresti i gemelli di 3 mesi. Con i Rettili ci si va alle feste, non temono l’etilometro, non gli chiedi di tenerti neanche la tartaruga nell’acquario, se la mangerebbero. Al massimo li chiami quando sei molto depresso perché stanno peggio di te e non si offendono se glielo dici.

Ma arriviamo al dunque. In Italia molti fotografi, intimamente, credono di essere degli artisti, loro l’hanno capito e – temendo a qualcuno sfugga – si vestono da artisti, si comportano da artisti. Abbigliamento trasandato, mente altrove, discorsi sull’eterna insostenibilità dell’essere artisti al panettiere innocente mentre gli porge la pagnotta (i fotografi artisti amano il pane casareccio). Il gilet, come quello dei cacciatori, non si lava, mai. Se lo fai emette un buon odore, la selvaggina non ti riconosce, scappa e non riesci a fargli le foto.
Sembra come se, vestendosi normalmente, le foto venissero peggio, meno artistiche. Certo è altrettanto vero che con i tacchi, in pista, puoi avere delle difficoltà. Allo stadio non ci si va in smoking, ma mi chiedo sempre perché mai si debba andare in giro conciati come dei disperati, più che degli artisti a volte sembriamo dei mendicanti.
Se io fossi una nonna o il responsabile di un’agenzia, forse non mi dispiacerebbe ogni tanto avere a che fare con un noioso (ma non piagnucolante), pulito, sorridente angelo dal quale traspaia quella luce a suggerire affari che vanno a gonfie vele.
I clienti se ne fregano di come andiamo conciati in giro? Non sempre, molti mi chiamano anche per questo. Un paio di anni fa andai a fare un servizio al Papa a Castel Gandolfo, nei fantastici giardini del parco.
Dopo la sessione fotografica mangiai al tavolo con Cardinali e grandi dirigenti d’azienda (credetemi se uso Grandi) e non in cucina come spesso accade. Da cosa nasce cosa e arrivarono altri lavori.
L’abito fa il monaco. La nonna e il Santo Padre lo sanno.

25/08/2012|

Angeli della luce Versus Rettilandia (I parte)

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia

Anni fa mi successe una cosa. Chiedo perdono subito per l’irriverenza verso i credenti, mi pento mi chino muta e rassegnata e faccio atto di dolore. Però anche voi, a volte credete a delle cose che si fa fatica ad abbracciare se ci si ragiona mentre fai la coda al super o distesa sulla spiaggia. Perché a me andò proprio così, ora vi spiego altrimenti ci perdiamo e poi non capirete cosa abbia a che fare con la fotografia.

Allora, ero sulla spiaggia un po’ sorpresa, perché c’erano dei nudisti non lontano e io sgranavo gli occhi come le vecchie signore e ogni tanto dicevo solo: ma dai! Ero con delle ragazze, due inglesi che si sbellicavano dalle risa e una mia amica trasteverina, Lella. Insomma un quartetto di matte che avevano sbagliato lidi. Ad un certo punto mi viene in mente il sogno che avevo fatto (io faccio sempre degli incubi pazzeschi) e dico a Lella la trasteverina: “sai che ho sognato che delle persone avevano una maschera se la strappavano e sotto erano tutti strani, pitonati, con le scaglie, tipo V Visitor” e per me finisce lì con questa memoria che riaffiora, di sicuro il costume adamitico dei vicini di lettino mi aveva ricordato il serpente di Eva.

Lella la trasteverina mi spiega: “sono i rettiliani e per averli visti tu sei un angelo della luce” e mi guarda tutta soddisfatta, tipo: Benvenuta sorella!
Inizia a parlare di questa cosa mentre mi spalmo l’abbronzante e indica tutta una serie di libri a cui fare riferimento per indottrinarmi.
Torno a casa un po’ provata dai serpenti le mele e la nudità e mentre rifletto perplessa ricevo la chiamata di una mia amica, sposata con un famoso giornalista che pensavo fosse anche una persona posata. Le racconto l’antefatto e mi dice: “Perché, non ne sapevi nulla? Ero convinta fossi anche tu contro i rettiliani“. Lì per lì penso: conosce Lella la trasteverina e si prendono gioco di me. Mi rielenca gli stessi volumi (mai comprati, se li ordino nella libreria del paesino dove vivo mi preparano la catasta di legna in piazza) e riattacca quasi disgustata.

Ora, la vita è dura per tutti, pure per i rettiliani che, per quanto cattivi e bramosi di conquistare l’universo siano, hanno gli angeli della luce tutti puliti a rovinagli la festa e gli ignoranti come me che neanche si erano accorti esistessero. Per combattere cotanti conflitti cosmici ogni tanto bisogna fantasticare, staccare le spine o addomesticarli.
E con questo vi saluto, ci sentiamo domani con la seconda ed ultima parte del racconto. Vi spiegherò, se avrete la clemenza di leggermi, cosa c’azzecchino i potenti delle tenebre, i fighetti biondi e gli storditi (io) con le foto.

Buona giornata!

24/08/2012|

Applicazioni di raccolta differenziata in fotografia

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia, il meglio del blog

 

 

La fotografia non è come il maiale, del quale ahilui non si butta nulla. Spesso vedo delle foto  postprodotte all’inverosimile, dove ogni sforzo chirurgico è stato adottato, B/N, colori psichedelici, tagli. Nonostante ciò restano delle foto bruttine. Un’indecisione che svela il tentativo dell’autore di non accettare il suo fallimento: la foto non è recuperabile, l’accanimento terapeutico ne prolunga l’agonia. Nel fotogiornalismo un’immagine orribile potrebbe risultare anche utile, a patto però contenga degli elementi utili. Nel fotogiornalismo è altrettanto vero che le foto non possono essere ritoccate e mai come in questo caso, qui casca l’asino.
Prima regola: se sono foto professionali, imparate a guardarle col distacco di un editor che vede passare sul suo schermo migliaia di foto giornalmente. Viceversa, create una cartella “Foto decisamente brutte che nessuno comprerà mai alle quali sono molto affezionato”.

Molti anni fa un collega mi disse: “Questa è una di quelle che bisognerebbe aver il coraggio di buttare“. Una mia foto attendeva il verdetto sul mio schermo in sala stampa. Non sapevo cosa farne. Aspettavo mi svelasse qualcosa che la rendesse utilizzabile ma che ancora non riuscivo a notare. La realtà è che non aveva nulla, era solo una foto di gara mal riuscita e solo io, nell’universo, ne avevo colto il significato. Ogni tanto me la riguardo (ancora non attuavo il sistema che sto per svelarvi quindi non la buttai) a memoria degli orrori dai quali anticamente non mi separavo.

Col tempo sono riuscita a passare al lato oscuro della forza distruttiva di un fotografo: cancello. Non a fine giornata, ma l’indomani, asetticamente mi attivo in modalità: Gestione Jedi Distaccata del Flusso delle Immagini e Management dell’Uso della Forza del Pensiero per Spostarle da una Cartella all’Altra.
Non è difficile, va fatta a freddo, anche senza spada laser ma prima di editare e archiviare. Come? Stabilite un metodo, delle regole, fatevi dei contenitori nei quali separare il materiale, attuate la differenziata. Vi svelo il mio, l’ho rubato o meglio riadattato dai “Principi del Sistema Integrato dello Smaltimento dei Rifiuti“. I cassonetti. Funziona.

Un prodotto se non entra nel circolo economico diventa un rifiuto, su questo dovete farci pace. Ci sono troppe immagini che girano a vuoto e forse le vostre neanche girano, sono lì, nello scatolone. Dovete decidere il loro destino perché di loro stiamo parlando. Le potete riciclare, verranno fuse, appiattite e insieme ad altri milioni di esemplari analoghi diventeranno compostaggio. In fotografia potremmo tradurlo come un tentativo di piazzare quelle immagini in photo stock (Uso dei rifiuti per produrre energia/guadagno) dove altri miliardi di immagini molto simili alla nostra attendono di essere notate. Funziona, ogni tanto si vende e guadagna senza sforzi. Sempre meglio archiviate in una banca dati pubblica che nei nostri dvd.
Ma se non piazzate le foto e non provate a renderle guadagno che sia concime per nuovi servizi (Riutilizzo del materiale di scarto) probabilmente nessuno lo farà al posto vostro. Potete provare ad archiviarle ed editarle diversamente, forse avete fatto quel servizio quando PS ancora era una nota a piè di pagina (Miglioramenti tecnologici per eliminare la presenza di sostanze pericolose nei rifiuti), venderle in rete (Riciclaggio) oppure le giustiziate forti del Trattamento a Freddo dei Rifiuti, ma in ultimo andrà affrontato il capitolo più doloroso: il Trattamento dei Rifiuti Tossici: quei servizi che vi son venuti proprio male e che vi rendono irascibili e dubbiosi.
Ci sono diversi modi. Uno di questi potrebbe essere la Raccolta Differenziata Porta a Porta, contattare tutti i colleghi e fare un portale unico dove mettere dentro gli orrori, quello che io chiamo Trashooting (le foto che non si ha il coraggio di cestinare definitivamente) e venderle al prezzo simbolico di 1 euro. E un euro oggi un euro domani… buttali via!

PS (post scriptum e non Photo Shop) non sapevo che foto mettere, oggi le butterei tutte

 

 

 

23/08/2012|

Non è bello quel che è bello, ma?

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia

 

Nel luglio del 2011, in occasione di un anno dall’apertura dei Giochi di Londra 2012, in un popolare giornale indiano venne utilizzata una mia foto poiché considerata la più pubblicata dei giochi di Pechino. Dopo poco la foto uscì su un tabloid arabo.

Io non compro abitualmente Times of India e non ho la casa a Dubai, me ne accorsi dai contatti su FB: in un giorno migliaia di persone mi inviarono richieste, mail, si offrivano di farmi da assistenti, mi sottoponevano i loro lavori. Mi sembrava scortese rifiutare, poi si rese necessario e iniziarono a scrivermi cose del tipo: “pregiatissima signora lei ha dato amicizia al cognato di mio cugino e anche al suo vicino di casa, così mi disonora, la prego confermi la mia richiesta.”
Non sapendo più dove stiparli e per evitare sanguinose lotte di quartiere aprii un gruppo a mio nome, sempre su FB, volevo fare una specie di vetrina dei miei lavori da rivolgere all’altra metà della popolazione del sud est asiatico medio orientale che per contagio presto mi avrebbe trovata. Alzavo le barricate, mi preparavo all’epidemia.
Dopo pochissimo molti si iscrissero sì, ma per mettere i loro lavori, si scordarono presto di me e della mia fotina pubblicata.
Postano i loro figli, i ragni (tanti ragni e serpenti) i matrimoni. Il nome del gruppo non può essere cambiato ma di me c’è poco.
Di primo impatto mi sembrò di aver fallito in tutto ma non è così ed ecco il motivo di questa noiosa introduzione.
Che c’azzecca una fotografa in Bangladesh? Che ci faccio con un cv da Calcutta? Le considero solo aberrazioni di una popolarità effimera? No. Imparo.

Imparo i gusti, guardo le foto che i miei  amici afgani postano, spulcio i raggianti colori indiani, mi faccio un’idea di come è il nostro mondo e come vengano dettate le regole. Diciamo che studio il mercato globale, che per quanto contestato è un fiume in piena che si è fatto il suo nuovo letto.

Come mai un fotografo matrimonialista non si interessi alle cerimonie cinesi mi risulta difficile capirlo, perché le foto se le fanno da soli? è possibile ma non scordiamo che nel nostro paese ce ne sono oltre 300 mila, prima o poi qualcuno potrebbe avere bisogno, sono ricchi anche loro.
Perché non rivolgersi al settore dei ritratti degli indiani, loro che amano ancora le foto in posa come facevamo noi decenni fa, sono belli e colorati, sanno posare, ci vogliamo ragionare?

Una volta parlai con un tipo, quando seppe che ero fotografa mi raccontò di un suo amico, un tempo appassionato di fotografia, ora in piena attività. Iniziò la sua carriera casualmente, una professionista mentre gli offriva i suoi favori gli chiese di fargli dei ritratti, aveva bisogno di qualche foto per promuoversi, diciamo un portfolio ma voi cercate di usare la fantasia. Ora questo signore ha il giro delle cortigiane romane, se lo litigano.

Questo è il mio gruppo, se volete attingere. 

https://www.facebook.com/groups/vandabiffaniphotographer/

 

22/08/2012|

La vendetta dell’estremamente piccolo e veloce

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia

 

Poco fa ho visto un video, nel quale Ramesh Raskar presenta la femtofotografia, un nuovo tipo di imaging così veloce da mostrare il mondo a un trilione di fotogrammi al secondo e così dettagliato da evidenziare la luce stessa in movimento. Questa tecnologia potrebbe un giorno essere utilizzata per creare fotocamere che possono vedere dietro agli angoli oppure scrutare dentro a un corpo senza raggi X. I dispositivi verranno ridotti nelle dimensioni, come sempre accade, in modo da poter essere contenuti anche nel frullatore per capire se la frutta è matura al punto giusto. E non sto scherzando. Pensate le applicazioni che avranno in fotografia, il 3D in confronto è quasi roba da scolaretti.  Quindi cari colleghi iniziamo a familiarizzare col concetto di evoluzione prima di scomparire come i dinosauri che guardavano le meteoriti cadergli addosso credendo fossero stelle comete.

Vi traduco e trascrivo parte del testo, che vi consiglio di leggere prima di vedere il video stesso. Poi riflettere sul futuro della fotografia come faccio io da mesi, sulle nuove tecniche che soprattutto in India vengono sviluppate, perché inutile opporci al progresso. Quando ci si scontra con una forza  troppo potente – e nel caso di noi fotografi i nemici ora sono le tecnologie e la loro massiccia diffusione in dispositivi alla portata di tutti, come i cellulari – o si getta la spugna o lo si rende meno ostile.
Il testo può risultare complicato, ma non lo è, l’ho capito io. In calce il link del video. Ci vediamo in qualche fossile, buona fortuna a tutti.

PS la conferenza è stata tenuta per dei fotografi, non per degli scienziati, perché altrove la nostra è una professione seria.

“Doc Edgerton ci ha sorpreso e incuriosito con una foto di un proiettile che trapassava una mela e un’esplosione di solo un milionesimo di secondo. Oggi, 50 anni dopo, possiamo essere un milione di volte più veloci e vedere il mondo non a un milione o a un miliardo, ma a un trilione di fotogrammi al secondo.
Vi presento un nuovo tipo di fotografia, la femtofotografia, una nuova tecnica di imaging così veloce che può creare video al rallentatore della luce in movimento. Con tale tecnica possiamo creare macchine fotografiche che vedono negli angoli, oltre la linea dello sguardo oppure vedere all’interno del nostro corpo senza raggi X e sfidare lo stesso concetto di macchina fotografica.

Se prendo un puntatore laser e lo accendo e spengo in un trilione di secondo pari a vari femtosecondi creerò un pacchetto di fotoni ampi quasi un millimetro che viaggeranno alla velocità della luce, un milione di volte più veloce di un comune proiettile. Ora, se prendete quel proiettile e questo pacchetto di fotoni e lo sparate in una bottiglia di plastica, come si frantumano quei fotoni in quella bottiglia?

Che aspetto ha la luce al rallentatore? L’intero evento sta veramente avvenendo in meno di un nanosecondo – il tempo impiegato dalla luce per viaggiare – e nel video lo vedete rallentato di un fattore pari a 10 miliardi per poter vedere la luce in movimento. Nel filmato succedono molte cose.  L’impulso entra nella bottiglia, il nostro proiettile, con un pacchetto di fotoni che inizia ad attraversarla e diffondersi all’interno. Un po’ di luce si spande sul tavolo e si iniziano a vedere questi guizzi di onde.  Molti fotoni alla fine raggiungono il tappo per poi esplodere in varie direzioni. C’è una bolla d’aria che sobbalza qua e là all’interno. Nel frattempo i guizzi passano per il tavolo e per via dei riflessi in alto, sul retro della bottiglia, dopo vari fotogrammi, vedete i riflessi a fuoco. Se prendete un comune proiettile, lo lasciate percorrere la stessa distanza e poi rallentate il video di nuovo di un fattore di 10 miliardi, sapete quanto tempo impiegate a vedere il filmato? Un giorno? Una settimana? No, un anno intero. Sarebbe un film molto noioso di un lento comune proiettile in movimento, è come gettare un sasso nell’acqua. Questo è il modo in cui la natura fa foto, un fotogramma fermo alla volta, ma naturalmente il nostro occhio vede un’immagine composta integrale.
Se guardate invece un pomodoro trapassato dalla luce, noterete che mentre la luce lo inonda, continua a brillare. Non si oscura. Perché succede? Perché il pomodoro è maturo e la luce rimbalza al suo interno e ne esce dopo qualche trilionesimo di secondo.

In futuro, quando la tecnologia femto sarà incorporata nella tecnologia del vostro cellulare, sarete in grado, al supermercato, di verificare se il frutto è maturo senza toccarlo.

Come è riuscito il mio team al MIT a creare questa fotocamera?

Voi fotografi sapete che con un’esposizione breve avete poca luce, ma noi andremo un miliardo di volte più veloci della vostra più breve esposizione e quindi non ci sarà quasi luce. Quello che facciamo è inviare quel proiettile, quel pacchetto di fotoni, milioni di volte e registrarlo ogni volta con una sincronizzazione molto intelligente e dai gigabyte di dati che intrecciano insieme, al computer, creiamo i video femto che ho mostrato.

Possiamo prendere tutti i dati non elaborati e trattarli con modalità interessanti.

Che ne dite di un nuovo potere per un supereroe del futuro: vedere dietro gli angoli.

L’idea è che sia possibile far brillare un po’ di luce sulla porta di una stanza. Rimbalzerà, andrà dentro alla stanza, un po’ si rifletterà sulla porta e poi di nuovo nella fotocamera. Sfrutteremo questi diversi rimbalzi della luce. Non è fantascienza, l’abbiamo costruita veramente. A sinistra c’è la nostra fotocamera femto, c’è un manichino nascosto dietro quella parete e faremo rimbalzare la luce sulla porta.
Dopo essere stato pubblicato su Nature Communications il nostro lavoro è stato messo in risalto anche da Nature.com dove hanno creato questa animazione. 

e ora guardatevi il video, poi mi dite http://www.youtube.com/watch?v=Y_9vd4HWlVA

 

 

 

21/08/2012|

Quelle domande a cui non sempre sai rispondere

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia

Dopo una settimana di riposo meritato post Olimpiadi, riapro il mio piccolo blog (del quale ammetto se ne può anche far a meno) tentando di rispondere alle domande frequenti che ricevo, quelle che mi fanno pensare: “e ora cosa gli dico? ma chi sono io per consigliare?”

Molti chiedono come affrontare la carriera di fotografo, suggerimenti, opinioni sul mercato. La verità è che anche noi fotografi professionisti siamo nel pieno di una tempesta cosmo-tecnologica che ci proietta da una parte all’altra dell’universo confondendoci, come se il passaggio dall’analogico al digitale di una quindicina di anni fa non fosse bastato.
Proprio a Londra ho verificato che la robotica sta prendendo fortemente la mano. Nonostante una macchina remotata e comandata dal computer possa molto ma produca poco, le grandi agenzie si sono fatte una discreta guerra su questo fronte e le case hanno proposto già dalla prima sera delle opening nelle quali presentavano i nuovi modelli, con tele guidati da manine che zoomano pilotate da una consolle, un segnale chiaro di dove si dovrà dirigere la preparazione di un buon fotografo che miri ad un successo duraturo nel tempo.
Difficile indirizzare altri quando tu stesso sai di doverti preparare a tecniche e mercati sempre in evoluzione. “Sono ancora fresco per incamerare nuove tecniche, sconvolgere il mio modo di lavorare, ridurre la mia parte creativa a favore di una richiesta editoriale sempre più immediata e di brevissima durata?“
Io non sempre lo sono, non per pigrizia mentale ma per inadeguatezza tecnica, aggiornarsi è impegnativo e spesso non sai come investire al meglio. Ma ci provo; confrontandomi con la mia casa di riferimento, con i colleghi più preparati e imparo più in venti giorni di olimpiadi (questa di Londra era la mia terza) e nei mondiali che in  anni di letture e approfondimenti.

Questo è il primo consiglio: quando andate alle manifestazioni non affannatevi a fare foto che tanto non venderete e probabilmente neanche archivierete se non sommariamente. Guardatevi intorno, assorbite, imparate da quelli più bravi di voi, ce n’è almeno uno per ogni cosa che sapete fare e questo vale per tutti, professionisti compresi. Siate umili e soprattutto siate onesti con voi stessi. Siete veramente il fotografo che quel tale mercato reclama? Cosa fate di nuovo, di diverso che altri non stiano da anni tentando – senza riuscirci – di proporre?

La seconda cosa che vorrei suggerire è lo studio, perché la fotografia non è talento, è applicazione, confronto, metodo e idee, nuove idee. Chiedetevi sempre: quanti prima di me hanno fatto questo genere? Ma soprattutto, chi l’ha fatto prima di me? Come va a loro?
Vi faccio un esempio. Ora non si parla che di street photography come se fosse una novità. Avete mai sentito parlare di Cartier Bresson, Boubat, Doisneau, Capa,  Ronis, Seymour, Bischof, Eisner? Facevano fotogiornalismo, praticamente la stessa cosa ma su grandi temi, lo facevano così bene che le loro immagini appartengono al nostro immaginario collettivo.
Volete veramente competere con i grandi maestri? Allora fate qualcosa di grande o fate una cosa nuova, non foto simili tradotte in B/N perché un occhio attento come quello di chi esaminerà i vostri portfolio per capire se affidarvi un incarico o meno noterebbe solo delle cose già viste e non sempre ben fatte. Oppure fatele per voi stessi, senza chiedervi come mai non riusciate a venderle. La street photography credo sia il genere meno richiesto attualmente dal mercato, mi spiace. Metteteci dentro un incidente, uno scippo o qualcosa che altri non abbiano fatto con un cellulare e forse la vostra foto comparirà su qualche redazionale. Oppure iniziate a guardare le strade e la gente che le popola in modo diverso, sorprendente.

Sempre restando nel giornalismo, vi parlo di quello che so fare meglio, la fotografia sportiva. Io iniziai nei piccoli campi abusivi di cross, molto romantico vero? Mica tanto, facevo le foto di nascosto per allenarmi, ma se mi vedevano quelli sulle moto mi cacciavano via. Andavo anche ai gran premi, un paio di volte l’anno, scattavo foto in 6×9, le stampavo al bagno e quando riuscivo a tornare in pista facevo il giro dei piloti, molti però nel frattempo si erano fatti del male le gare prima. Romantico anche questo? Forse, ma prima che qualcuno mi notasse passarono anni e il romanticismo dura poco, si sa.
Molti mi scrivono, vogliono  lavorare ai gran premi iniziando direttamente dai gran premi. Questo mi fa capire immediatamente che non sanno neppure come sia fatto un GP, un ambiente dove non solo è difficile poter essere accreditati, ma nel quale spesso prima che capisci le tempistiche di gara (e dove posizionarti per tirar fuori del materiale che possa competere con la concorrenza) impieghi molto più di un fine settimana. Praticamente quasi inutile andare se si vuole vendere delle foto, sempre che anche in questo caso non si sia dei veri talenti con una discreta dose di fortuna.

La fotografia sportiva è bellissima, io la difendo e sostengo, il gesto è puro, lo sguardo degli atleti intenso, ti buca. Ma se intendete veramente intraprendere questo mestiere e fare in modo che la vostra carriera abbia successo preparatevi, studiate le nuove tecnologie, sviscerate i menu delle macchine, lasciate perdere il foto ritocco che nel foto giornalismo ormai è bandito, siate veloci nelle tecnologie come il mercato che le pretende.

In ultimo, le scuole di fotografia e i work shop. Io non dovrei affrontare l’argomento perché ne organizzo, ma sui temi nei quali so di poter trasmettere qualcosa e in contesti dove la gente si diverta.  Vedo tanta improvvisazione, ma questa la consente chi si iscrive senza un’analisi critica.
Se volete fare un corso, scegliete con cura il docente, indagate, costa poco? Insospettitevi. Se di fotogiornalismo si tratta, affidatevi a chi di giornalismo vive. A meno che il vostro scopo non sia riprendere ogni angolo paesaggistico dello stivale, fate corsi di ripresa naturalistica se tenuti da professionisti, altrimenti andate pure ma con spirito diverso. Investite bene, rivolgetevi a persone serie o quanto meno del mestiere.

Attendo le vostre critiche, perché molti si sentiranno delusi, ma tornando a monte: chi sono io per consigliarvi?

 

 

 

20/08/2012|

Let’s have a rave!

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, london 2012

 

Io c’ero, scusate faccio la fanatica, ma io c’ero e mi son data pure da fare. Ho usato il monopiede stile palo per pole dance, frullato il tele sopra la testa come fossi al lancio del martello, mi sono anche denudata del gilet (che qui ai giochi guai se te lo togli), l’ho lanciato in aria e, quando sono entrati i Madness, quello in scia sullo sfondo del vostro schermo non era l‘uomo cannone, ero io. Poi ho cantato e cantato. Ma non è stata colpa mia. Io ero lì buona buona con i miei anni e due settimane di fuoco sulle spalle, mezz’ora prima dell’inizio sono cominciate ad entrare centinaia di persone, camion, macchine, navi, sembrava l’imbarco per la Sardegna ma alle 21 in punto devono aver annunciato lo sciopero perché non ci si è capito più nulla, tutti che si agitavano e cantavano e ballavano! e che dovevo fare io?

Chi ha seguito in televisione crede sia stato un susseguirsi ordinato di talenti, ma non è così: gli artisti si sono alternati e sovrapposti spuntando da ogni angolo non sapevi dove guardare. Sembrava il Big Ben della teoria dell’universo musicale londinese, un boato e Dj Fatboy Slim sorge dalle ceneri di un furgoncino stile surfista esploso che diventa un polpo gigantesco ed ecco trasformato tutto in un’unica discoteca. Lui alla consolle e i big della musica inglese a darsi il cambio: i Madness, George Michael, i Kaiser Chiefs, Annie Lennox, Ed Sheeran, Who, Kate Bush, Nick Mason, Richard Jones, Mike Rutherford, Russell Brand, Jessie J, Taio Cruz, le Spice Girls, i Beady Eye con Liam Gallagher (degli Oasis), Eric Idle, i fantastici Muse, Brian May, Roger Taylor dei Queen, i Take That, gli Elbow. Anche Freddy Mercury ha duettato col pubblico, da brivido. Il volto di John Lennon e il suo mondo immaginario senza guerre e senza dolore che si materializza sulla roccia come un presidente degli stati uniti.

Dovrei annoiarvi per giorni per raccontare due ore di concerto elettrizzante, perché di questo si è trattato, la più grande performance musicale alla quale potevo sperare di partecipare. Preferisco creare una sezione fotografica.

Londra 2012 resta discutibile per i molti errori organizzativi evitabili, di certo non è l’Olimpiade migliore mai realizzata come il primo ministro ha dichiarato dal palco. Che doveva dire? Si parla sempre così… degli ultimi film, libri, amanti. Ma vi assicuro che questa cerimonia di chiusura non ha rivali, a memoria di fotografa.

14/08/2012|

Russell Square simbolo dei Giochi

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia, il meglio del blog, london 2012

Ogni giorno mi reco, come tutta la stampa accreditata, a Russell Square, centro di scambio cittadino principale dei trasporti olimpici di questi giochi. Da casa sarebbe meglio tagliare con altre linee, ma alla fine mi sono piegata ai mezzi riservati agli accreditati, piccole fughe escluse. Come quella di ieri, una passeggiata breve per ammirare questa meraviglia di metropoli. Con un collega ci siamo avventurati, scambiando linee nel tube che si intrecciano come partner ai valzer, poi scesi alla fermata di Russell Square presi dalla novità abbiamo pensato di non riemergere alla luce con l’ascensore ma di risalire lungo le scale. Sono belle, in maioliche antiche di un verde e beige gentile, rilassante. Davanti a noi si lanciano un gruppo di adolescenti, dopo poco li sentiamo annaspare, ridere, si fanno prendere dalle convulsioni, le scale sono infinite, rampe e rampe in spirale da stordirti, toglierti il fiato, lanciare l’SOS. Mi aspetto di incontrare scheletri incatenati polsi e caviglie, potrei almeno dire vedi anche loro non ce l’hanno fatta!

Stamane ho fatto colazione con Rita, la bella signora che mi ospita e che ha sempre tante cose su cui ragionare. Mi racconta della vincita di Mo Farah nei 5000 di atletica, lei che in tutti questi giorni non si è mai scomposta di fronte a nessuna vittoria, che snobba i giochi.
Si è emozionata, quell’oro del musulmano nazionalizzato britannico ha commosso il paese, lui ha ringraziato l’Inghilterra per averlo ospitato e cresciuto e gli dedica la vittoria. Rita mi dice “sai questo è un giorno importante per noi, una grande vittoria, non si parla di altro” e mi chiedo perché. Poi aggiunge “il 6 luglio 2005 la Gran Bretagna riceve la conferma della candidatura olimpica, il giorno dopo esplodono le bombe“. é vero, quattro folli integralisti si fanno saltare in aria, ben 26 morti in un vagone giù giù nella caverna di Russell Square e altri nei bus, alle stazioni. Mi spiega che fu solo una coincidenza, un attentato non si organizza in una notte dalla notizia della candidatura ma per loro è un segnale forte. Poi conclude “Russell Square è la fermata più profonda della città“. Di certo una coincidenza nelle date, il fato ha contribuito ma la volontà di scegliere le viscere della città non è stata affidata al caso ma studiata.

Ripenso alle scale, immagino il panico di chi fugge, il fumo, la gente che si calpesta forse al buio e torno alla stazione. Non ci sono scritte, ne elenchi dei caduti, quasi che nulla fosse successo. Non come da noi, commemorazioni, anniversari e processi ancora in corso dopo trent’anni. Niente targhe a Russell Square, scelta come centro nevralgico degli spostamenti olimpici, simbolo di sfida: quella dei trasporti, eccoci siamo qui venite pure sotto noi andiamo avanti; quella della ragazza che quel 7 luglio perse la gamba e ora gareggia nella nazionale di pallavolo alle paraolimpiadi;  quella del musulmano che batte tutti e ringrazia il suo paese.

Se venite a Londra e non avete problemi di salute, fate le scale di Russell Square, vi sentirete diversi dopo.

13/08/2012|

Fare shopping a Londra

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia, london 2012

Questa città mi piace un sacco, quando sei a tuo agio è’ un piacere prendere i mezzi di trasporto pubblico, e se non senti il degrado intorno a te significa che ce la puoi fare, ti stanno considerando, si prendono cura del tuo essere un pendolare, madre, invalido, sognatore, uno che lavora per se e per la sua nazione.
Qui non è offensivo parlare di nazione, sventolare una bandiera, lo fanno con orgoglio e nessuno che si sogni di dirgli che sono vecchi per questo. Eppure in pochi posti al mondo capita di vedere così tante razze e incroci, tra l’altro molto ben riusciti.
Ed è bello andare a fare shopping perché da una Nazione che ti chiede 4 sterline a panino ti aspetti di pagare una fortuna per portarti a casa una maglietta ma non è così e vi spiego il perché.

Nessuno segue una moda vera e propria, le grandi case ci provano a dettare legge ma l’unica che regni è quella del proprio essere: chi sono io, come ho voglia di vestirmi, quanto sono disposto a spendere. Impiegati e manager non hanno scelta, giacca,  cravatta e 24 ore, dentro la quale però custodiscono le scarpe da ginnastica per andare al pub dopo l’ufficio.
C’è un quartiere fantastico dove vi consiglio di andare, si chiama Camden market sull’omonima strada. Vi stupirete di quanto sia facile creare un vostro stile, che nessuno contesterà, e di quanto sia divertente ed economico. Volete vestirvi come Milly, la sposa di Adamo in sette spose per sette fratelli?

o coprirvi di tatuaggi e capelli color ramarro? desiderate andare sul sicuro e comprare t-shirt bellissime portabili anche alla cena coi suoceri? oppure siete alla ricerca del vostro negozio sado-maso di fiducia? Una vera signora non dovrebbe mai rinunciare a queste cose, quindi accaparratevi il vostro biglietto low cost e venite a divertirvi, il cappello del cappellaio matto, le camicie di Prince e le giacche dei Beatles (tutto di ottima fattura) vi aspettano.
Con 100 euro vi portate a casa un sacco di roba, non vi resta che farvi coraggio e indossarla.

11/08/2012|

Quegli strani mestieri tra gli olimpi, dieci (e una) professioni sostituibili

by: vandabiffani
Posted in: Blog Category, fotografia, il meglio del blog, london 2012

 

Nessuno è indispensabile, molti sono invisibili.
Eccovi una carrellata dei ruoli che non sospettate ma che fanno la loro parte ai giochi

il posizionatore di palle: asiatico, distinto, silenzioso lavora 4 volte a gara. Si tuffa tra un tempo e l’altro della pallanuoto e posiziona la palla al centro. Per il resto della giornata rimane umido nel suo accappatoio bianco e fa finta di seguire gli eventi

L’uomo dirigibile: da due settimane sorvola in cerchio lo stadio olimpico come il diavolo della Tasmania, non si sa chi sia né se lo faranno mai scendere. Forse i tiratori scelti appostati sui tetti di Londra lo tengono sotto mira per passare il tempo mentre lui attende la chiusura delle ostilità e delle olimpiadi

Pegaso birotato: bello, biondo, chioma fluente al vento, fluttua tra gli olimpi come un dio, più veloce di Bolt più rigido di una colonna. Ci siamo chiesti se, spingendolo da sotto i piedi, si afflosci come un giocattolo.

Sventolatore: addetto alla parte inferiore del lottatore, la più surriscaldata, efficientissimo.

Ufficio reclami: una new entry degli ultimi giorni, si compila un modulo, lo si deposita alla biglietteria dopo aver fatto una fila, si va a fare un’altra fila, poi si torna dalla signora che ti ascolta e ti dice sorry.

Camerafootballman: è dietro la rete dell’hockey, ad ogni tiro in porta si contrae istintivamente. Non parla e probabilmente non sente, le cuffie sul casco servono solo a ripararlo.

Il pilota automatico: gestisce con un joystick una macchinina che sembra un’istrice con la alopecia. Quando il giavellottista lancia, lei si muove come un cane da riporto e torna alla base non sempre linearmente. Piace molto ai bambini.

La trasportatrice di alcolici: riesce a sostenere 8 bottiglie con gli arti superiori, in azione ogni 10 minuti circa. Non accetta mance.

Gli strillatori aspiranti giudici: molto british, hanno un megafono e urlano di continuo andate di qua, uscite di lì, mettetevi in fila, la gara sta per cominciare. Ce n’è uno ad ogni ingresso di servizi ma sono discreti, non incitano all’evacuazione.

Il fotografo: Mestiere molto inflazionato, lo fanno un po’ tutti nonostante sia prossimo alla totale robotizzazione per spedire in tempi record. Bolt si è sentito subito chiamato in causa e ci fa concorrenza.

10/08/2012|
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